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Scegliere di morire tra censura e libertà

di Chiara AMBROSCA e Federico CRESCE (4B)
 

6 settembre 2020. Alain Cocq, che soffre di una malattia rara per la quale le pareti delle arterie si incollano, vittima di continue ischemie, inchiodato da anni a letto, impossibilitato a muoversi, pretende l’eutanasia e decide di condividere la sua agonia in diretta come segno di protesta. È a questo punto che il team di Mark Zuckerberg interrompe lo “show”. Allora Cocq non demorde e pubblica un post, incitando i suoi followers a protestare assieme a lui e a contestare "i metodi di discriminazione e di ostacolo alla libertà di espressione, diritto però imprescrittibile a qualsiasi cittadino francese ed europeo”. Ciò che Cocq chiede è un fine vita dignitoso, chiede l’eutanasia. Di cosa si tratta esattamente? L’eutanasia letteralmente significa “buona morte”, consiste nel procurare intenzionalmente la morte di un individuo, la cui vita sia condizionata da una malattia. Spesso la morale comune la considera inaccettabile, un vero e proprio omicidio. L’eutanasia è legale in pochissimi paesi e attualmente anche in Italia essa costituisce un reato, invece il suicidio medicalmente assistito in determinati casi e la sospensione delle cure costituiscono diritti inviolabili. Vivendo in uno stato democratico, ci si aspetta che l’eutanasia volontaria sia una scelta giusta e libera, che ogni uomo abbia il diritto di scegliere la sua morte. Ed è inconcepibile che a decidere se e per quanto tempo una persona malata debba soffrire siano persone che quel male non lo provano in prima persona. Invece tanti sono gli ostacoli che chi vuole l’eutanasia si trova davanti. La famiglia prima di tutto, che vorrebbe allungare il più possibile il tempo da trascorrere con la persona che ama. Ma, riflettiamo, se questo tempo è di sofferenza, non è possibile parlare di egoismo, seppur comprensibile? Mentre dunque si può affermare con certezza l’esistenza di un diritto alla vita, non è altrettanto possibile affermare quella di un diritto a morire. Questo non è più accettabile. È ora che il dibattito politico tragga le sue conclusioni e che non sia più necessario, per poter scegliere di morire, andare in Svizzera e voltare le spalle al proprio paese. O, forse, pensandoci bene, è proprio l’Italia a voltare le spalle a chi vuole solo smettere di soffrire.

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